Con l’ordinanza 6361 del 2 marzo 2023, la Corte di Cassazione ha fornito un vero e proprio decalogo per le associazioni sportive dilettantistiche.

Da oltre vent’anni, precisamente con la legge 289/2002, le associazioni hanno assunto uno spazio fiscale entro cui agire ben preciso, con tutte le associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro che possono essere iscritte nel registro Istituito presso il Coni ed usufruire delle agevolazioni fiscali citate nell’articolo 90 della medesima legge. Nello specifico nel comma 17 si legge che le associazioni e le società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, previa indicazione nella denominazione sociale della finalità sportiva, possono assumere una delle seguenti forme:

  1. a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli art.36 e seguenti del codice civile;
  2. b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del d.p.r. n. 361 del 10 febbraio 2000;
  3. c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.

 

Associazioni sportive dilettantistiche: gli argomenti trattati nella pronuncia 6361/2023

 Pur richiamando precedenti pronunce, i principi emessi nell’ordinanza 6361/2023 dalla Corte di Cassazione costituiscono un nuovo modello di linee guida da seguire per le associazioni dilettantistiche. Nello specifico, è stato sentenziato che:

  • ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui all’ 1 della legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell’associazione sportiva dilettantistica quale organismo senza fine di lucro da intendersi, in aderenza alla nozione eurounitaria, quello il cui atto costitutivo o statuto escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati, trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, nell’art. 111, comma 4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del d.P.R. n. 917 del 1986. Alla formale conformità delle regole associative al dettato legislativo si aggiunge, poi, l’esigenza di una verifica in concreto sull’attività svolta al fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente rispettoso degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f) degli artt. 148, comma 8, del vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di un’attività commerciale svolta in forma associata» (cfr. Cass., 26 ottobre 2021, n. 30008);

 

  • se è vero che l’applicabilità della disposizione è subordinata, innanzitutto, ad un requisito formale e, cioè, all’affiliazione dell’associazione alle federazioni sportive nazionali o a enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali (con riguardo alle imposte sul valore aggiunto e sui redditi), “tuttavia il possesso del requisito formale non è sufficiente, essendo necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale, costituito dalla effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge”. In particolare, le esenzioni d’imposta a favore delle associazioni non lucrative – e, specificamente, delle associazioni sportive dilettantistiche – “dipendono non dalla veste giuridica assunta dall’associazione (o, quantomeno, non soltanto da quella), bensì dall’effettivo esercizio di un’attività senza fine di lucro, sicché l’agevolazione fiscale (ma anche quella contributiva) non spetta in base al solo dato formale (estrinseco e neutrale) dell’affiliazione al CONI, bensì per l’effettivo svolgimento dell’attività considerata, il cui onere probatorio incombe sul contribuente” (Cass. n. 30008 del 2021. Così anche Cass., 30 aprile 2018, n. 10393; Cass., 30 aprile 2019, n. 11492; Cass., 11 novembre 2020, n. 25353; Cass., 24 dicembre 2020, n. 29500);

 

  • gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dall’ 111 del d.P.R. n. 917 del 1986, in materia di IRPEG, e dall’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA – come modificati, con evidente finalità antielusiva, dall’art. 5, del decreto legislativo n. 460 del 1997 – a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’ art. 5 del decreto legislativo n. 460 citato (art. 111, comma 4 quinquies), ma anche dell’accertamento, che va effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione, che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (Cass. 30 maggio 2012, n. 8623; Cass., 12 maggio 2020, n. 11456);

 

  • sotto lo specifico profilo dell’onere probatorio, gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale (come si evince dall’ 111, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986), potendo anche le associazioni senza fini di lucro svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale. Il citato art. 111, comma 1, in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo, costituisce deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche. Ne discende, pertanto, che l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia l’associazione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 cod. civ. (Cass., 12 febbraio 2013, n. 3360; Cass., 25 marzo 2015, n. 5931; Cass., 4 ottobre 2017, n. 23167)”;

 

  • “l’esenzione d’imposta prevista, dall’ 90, comma 11 bis, della l. n. 289 del 2002, in favore delle associazioni sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro, per la pubblicità eseguita negli impianti con capienza inferiore ai tremila posti, riguarda unicamente la propaganda della propria attività effettuata in modo diretto dai soggetti esonerati al fine di ampliare la base dei propri associati, non trovando invece applicazione per la pubblicità realizzata da terzi su spazi messi a loro disposizione, a titolo oneroso, da siffatte società sportive” (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2184).

 

Le conclusioni dei giudici nell’ordinanza

 Nella sezione conclusiva si legge che:

laccertamento sulla spettanza di tali agevolazioni deve essere compiuto, oltre che sul piano formale, anche in concreto, con onere probatorio a carico del contribuente, esaminando le attività sportive effettivamente praticate, le modalità con cui le prestazioni dellente sono erogate e leffettiva sussistenza delle caratteristiche soggettive dellassociazione sportiva.

Nel caso di specie però, la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi esposti poiché:

“Ha riconosciuto la natura non commerciale dellente – e, conseguentemente, il regime di agevolazione tributaria previsto per gli enti non aventi natura commerciale – in ragione del solo dato formale, peraltro non valutato in tutti i suoi aspetti, rappresentato dallessere una associazione sportiva dilettantistica, in possesso di iscrizione ad una federazione sportiva e di uno statuto, non esaminando minimamente i caratteri dellattività dellente

Nell’applicazione delle agevolazioni previste dalla legge, la sentenza non ha preso in considerazione:

  • che tutti i requisiti formali fossero stati rispettati (come l’assenza nella denominazione sociale del riferimento alla associazione sportiva dilettantistica);
  • ha omesso completamente di verificare la natura (in tesi, non lucrativa) dell’attività in concreto esercitata e ciò, pur avendo l’Ufficio rilevato sia l’assenza delle prescrizioni formali dettate dall’ 148, comma 8, del d.P.R. n. 917/86 e dall’art. 90 della legge n. 289/2002, sia che l’attività sportiva era stata svolta con l’ingaggio di piloti non soci, anche al fine di ottenere risultati migliori per attirare gli sponsor

 

Riassumendo quindi, i giudici di secondo grado hanno omesso di considerare gli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno della natura non commerciale dell’ente, individuati, principalmente sotto il profilo formale, nel fatto che:

  • l’associazione non avesse una delle forme giuridiche prescritte dall’ 90, comma 17, della legge 289/2002;
  • non recasse nella propria denominazione l’indicazione di associazione sportiva dilettantistica;
  • fosse affiliata al CONI solo dal 2011;
  • che il rendiconto fosse impreciso e stringato e la vita assembleare non fosse reale ed ispirata a criteri di democraticità poiché le assemblee non venivano convocate secondo le prescrizioni statutarie;
  • sotto il profilo sostanziale che l’attività svolta in concreto si estrinsecava nella partecipazione a rally con piloti, non soci, già affermati, al fine di acquisire sponsorizzazioni

 

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